PARLARE DI SOLDI AI COLLOQUI

Quando il capitano James Cook si imbatté negli esotici abitanti delle isole Tonga, notò che essi utilizzavano il termine tabù per indicare i comportamenti vietati dalle regole culturali della comunità. È solamente con il XIX° secolo che, entrando a far parte del vocabolario antropologico, la parola tabù ha cominciato ad assumere valenze, significati e rivisitazioni differenti. Da Smith (1889) a Freud (1912-1913) e Durkheim (1912), il sostantivo tabù – o meglio, taboo – viene spesso associato al divieto di dire, fare o addirittura pensare qualcosa per evitare di incorrere nell’ira degli spiriti o in una punizione divina.

Esistono dei tabù nel mondo del lavoro?

Addentrandoci nel mare delle opportunità lavorative, della ricerca e del cambiamento professionale, mi piacerebbe esplorare una delle credenze e attribuzioni che rappresentano un ostacolo al nostro comportamento in questi contesti.

Nel mondo del lavoro, gli spiriti, gli antenati e gli Dei vengono sostituiti dal management aziendale, dai recruiters e dai dirigenti con i quali capita generalmente di confrontarci durante un iter di selezione. Si tratta di figure che hanno la funzione di osservare il comportamento dei candidati durante le interviste e le prove attitudinali – siano esse tecniche o umane – e vengono percepiti come esseri potenti, quasi fossero infusi di un’aura magica sovrannaturale. Non dimentichiamo che ci troviamo nel mondo della selezione, ambiente in cui la naturale predisposizione umana nel descriversi attraverso i propri attributi migliori, talvolta accentuandoli, è marcata (cfr self-serving bias, Heider F. [1971]; Miller & Ross [1975]; Pal G.C. [2007]), e sforzarci di piacere ai nostri interlocutori potrebbe generare una serie di prescrizioni e aspettative che nulla hanno a che fare con la realtà della selezione, ma non di meno guidano il nostro comportamento in sede di colloquio.

Si può parlare di soldi in un colloquio di lavoro?

All’Università ho avuto il piacere di frequentare un corso che mi ha introdotto per la prima volta al mondo della Psicologia dei Comportamenti Economici (cfr “Mente e Denaro. Introduzione alla psicologia economica” D.F. Romano; L. Ferrari, 1999) e le rappresentazioni che individualmente e come comunità costruiamo attorno ai concetti di denaro, soldi, compenso, stipendio e via dicendo. Ricordo come il denaro fosse intriso di componenti emotive e cognitive ambivalenti e ambigue, di come gli individui fossero a disagio nel parlare di soldi e del proprio conto in banca.

L’aspetto sacro e profano che contemporaneamente permea questi argomenti concorre a creare una rappresentazione condivisa che non sia buona cosa parlare di compenso economico nei colloqui di lavoro e questa disposizione emerge nel momento in cui molti ragazzi – alle prime esperienze di colloquio – mi chiedono quando sia opportuno parlarne o addirittura se evitare il discorso a meno che il recruiter non lo introduca a sua volta.

Quando parlare di stipendio
a un colloquio di lavoro

Parliamoci chiaro: conoscere il compenso previsto da un’offerta di lavoro – e il relativo inquadramento contrattuale con gli eventuali benefit previsti per la posizione – è un diritto di ogni candidato. I rapporti di lavoro si fondano – o dovrebbero fondarsi! – sulla trasparenza nelle dinamiche interpersonali che in un’organizzazione si sviluppano anche sulla base dei contenuti contrattuali. Ad ogni modo, è giusto sottolineare che esiste un momento per tutto; quello migliore per poter parlare degli aspetti economici e contrattuali solitamente corrisponde al termine della fase conoscitiva, che spesso può trattarsi anche solo della prima telefonata in cui vengono chieste informazioni generali da ambo le parti, ci si presenta e ci si assicura che tutte le informazioni siano chiare. Tra le informazioni è necessario chiedere e pretendere di sapere almeno un range retributivo, in modo da sapere se investire il proprio tempo in un percorso valutativo più approfondito, confrontarlo con altre opportunità simili ed evitare di impegnarsi – e impegnare i valutatori – in un iter che sin dal principio non risponderebbe all’esigenza di sicurezza e stabilità economico-contrattuale.

Quando non si conosce lo stipendio, che fare?

È bene considerare che non sempre i recruiter possono essere conoscenza del budget che l’azienda ha a disposizione per una determinata figura e se non riuscissero ad indicarvi con precisione una cifra o un range retributivo, si può sempre far presente il vostro stipendio attuale o desiderato.

Affrontare in modo professionale questi argomenti restituirà un’immagine sicura e consapevole di voi, vi permetterà di risparmiare tempo ed energie e, strategicamente, di valutare quelle opportunità che rappresentano realmente il miglioramento che state cercando.

Il discorso sul denaro è solo una delle barriere che contribuiamo collettivamente ad innalzare quando parliamo di selezione del personale, finendo per ostacolarci con le stesse nostre rappresentazioni, aspettative e i nostri pregiudizi.

Come evitare i tabù in un colloquio di lavoro

A riguardo di ciò mi reputo ottimista, e sono convinto che il supporto maggiore proverrebbe da un sistema educativo che sin dagli ultimi anni delle scuole superiori introduca gli studenti al mondo e alle dinamiche lavorative, con laboratori pratici in cui ci si possa confrontare con professionisti del settore e ascoltare le testimonianze di coloro che hanno avviato un percorso di crescita professionale.

L’informazione adeguata, la simulazione e la sperimentazione di sé contribuiscono tutte a limitare l’incertezza e le ansie derivanti dall’essere buttati in un mare – quello del lavoro – a volte troppo ampio per un singolo individuo, sia esso neo diplomato, o neo laureato, o esperto del settore. Se non vengono forniti gli strumenti critici e strategici adeguati già durante gli anni formativi, le probabilità di ancorarci alle credenze condivise, alle superstizioni e al pensiero magico aumenteranno, con l’inevitabile scivolamento in un taboo di qualche tipo che limiterebbe il nostro campo d’azione e sviluppo ottimale.

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